Chiunque sia appassionato di viaggi o di documentari ha spesso sentito parlare di Goa, associando sicuramente immagini di palme, mari azzurrissimi, mercati caotici e profumi forti, di spezie, pesce freschissimo, incensi. Ebbene, lo Stato di Goa è esattamente così.
Dico “Stato” perché non è una singola città, come molti possono pensare, ma appunto una regione autonoma che insieme ad altre 28 costituisce la federazione Indiana. Le sue peculiarità però sono molte: una per tutte il 26 % di cattolici praticanti (percentuale altissima per una terra come l’India) e, di conseguenza, il fatto che la sua cucina preveda anche le carni di manzo e di maiale.
Come è possibile questo?
Per saperlo bisogna tornare indietro, nell’epoca in cui gli oceani erano mari ignoti, spaventosi e popolati da mostri o da strane creature leggendarie; ed in cui degli altri popoli non si conosceva nulla né tantomeno sarebbe stato possibile disegnare una carta geografica realistica dei loro territori. Negli anni che hanno chiuso il basso Medioevo il desiderio degli Europei di esplorare e commerciare nel mondo era altissimo, per ragioni di prestigio curiosità o di commercio ed anche per una motivazione storica: il crollo dell’ultimo lembo di impero Bizantino, Costantinopoli, nel 1453 portò le merci di provenienza asiatica nelle mani dei nuovi conquistatori, i Turchi, notoriamente ostili verso gli occidentali.
La conseguente ricerca di una via per arrivare alle Indie via mare, di cui si conosceva l’esatta collocazione solo in modo grossolano, senza bisogno di circumnavigare l’Africa portò prima Colombo a “scoprire” l’America (in realtà più che scoprirla vi sbatté contro, credendo poi per tutta la vita che gli indigeni nativi fossero giapponesi) e poi un popolo di eccellenti navigatori, al suo apice culturale e artistico, i portoghesi di re Manuel I, primi europei a raggiungere l’India nel 1497, a sbarcare sulle spiagge in cui più o meno, adesso, si trova Goa.

L’India, che ha una storia ricchissima e complessa, in quel momento era suddivisa in tanti sultanati di religione islamica in perenne lotta fra loro, tra cui quello di Bijapur. Fu abbastanza facile per i portoghesi inserirsi in queste dispute e, mediante alleanze, sconfiggere quest’ultimo sultanato, comandato da Adil Shahi e conquistare la zona.
Non si possono immaginare due cucine più diverse rispetto a quelle portoghese ed indiana: una basata sull’olio d’oliva, sul grano, sul pesce, sull’aglio; l’altra, raffinatissima, prevalentemente su riso, spezie (che, ricordiamolo, servivano anche come conservante) e carne d’agnello. Una questione però più complessa ed immediata rispetto al cibo era la religione: gli europei, invasori senza mezzi termini, spinsero per una conversione della popolazione al cattolicesimo in tempi rapidissimi e con misure drastiche. Chi non era d’accordo spesso fu costretto ad emigrare in altre ragioni indiane, devastate anche dalle continue guerre interne e dall’instabilità causata anche dai nuovi arrivati.
L’epilogo storico è noto: il governo di Lisbona non si interessò mai a conquistare vasti territori nell’entroterra, preferendo mantenere soltanto piccoli porti commerciali fortificati da usare come basi, fino all’inesorabile definitiva decadenza a partire dalla seconda metà del XV secolo e, in particolare, dalla morte del semi-leggendario re Sebastiano, caduto giovanissimo in Africa inseguendo i mori. Il suo corpo non fu mai ritrovato ed i portoghesi, come una sorta di messia laico, lo aspettano ancora oggi e, con lui, aspettano un riscatto ed il ritorno della gloria di quando erano la potenza marittima più importante della Terra.
Dunque l’India interna fu prima assoggettata dal grande impero Moghul, poi (per un breve periodo) dai francesi e, finalmente, dagli inglesi, che la conquistarono tutta ed imposero un dominio duraturo e decisivo per la storia di questa parte di mondo.
Tutta?
In realtà una piccola parte di India, sulla sponda occidentale, corrispondente grosso modo allo stato odierno di Goa, rimase in un certo senso fuori dalla storia: i portoghesi riuscirono a difenderla e gli inglesi, tutto sommato, non avevano interesse a perdere energie tempo e soldati per un piccolo lembo di terra di un impero in declino. Quindi Goa rimase cattolica, lusofona (ossia: di lingua portoghese) e con un forte rapporto dei suoi abitanti (quelli rimasti, non costretti ad emigrare) con la madrepatria. Si affrancò soltanto nel 1961, ossia ben 15 anni dopo l’indipendenza del resto dell’India.
La cucina indiana fornì dunque le spezie e l’uso disinvolto del piccante. Quella portoghese l’uso del maiale, pressoché sconosciuto se non ripudiato in India e (mediati dall’influenza araba), l’aceto e l’uso della tecnica dell’agrodolce. È proprio per questo che il vindaloo, il piatto-istituzione di Goa, unisce queste due combinazioni all’apparenza improbabili. Nell’originario stufato di maiale marinato in vino, aceto e olio (vinha d’alhos) sono state via via aggiunte le spezie, è stato abbandonato il vino (più raro e costoso) ed aumentato l’uso del piccante. Si tratta di una delle testimonianze più antiche e riuscite di fusione di tradizioni lontanissime, tanto da essere esportato in tutta l’India, con le variazioni del caso: niente maiale (sostituito da agnello o pollo) e, spesso, unito a un contorno di patate, altro alimento prezioso introdotto dagli Europei dopo i loro viaggi nel Nuovo Mondo. Se la sostituzione della proteina è perfettamente logica, l’aggiunta delle patate è pittoresca: la ricetta non le ha mai previste, ma siccome in hindi e in urdu, le due lingue prevalenti in India settentrionale (ma non a Goa), aloo significa “patata”, gli chef locali hanno creduto che esse fossero indispensabili per la buona riuscita del piatto.
Insomma: il profumo di Goa è sì di spezie, mare salmastro e incensi. Ma anche di sapori a noi più familiari, quasi di “casa nostra” , perché il mondo è più piccolo di quanto crediamo e lo è da secoli, da molto prima che la parola “globalizzazione” entrasse nel vocabolario di tutti.
VINDALOO DI POLLO
Il vindaloo, nato con carne di maiale, si è poi evoluto anche nel Regno Unito (come tutto quello che, in qualche modo, è nato o transitato dall’India). Propongo una versione col pollo che, per il resto, non differisce dalla ricetta originale.
(per quattro persone)
tre petti di pollo piccoli
due cipolle grandi tritate
due peperoncini freschi, uno verde e uno rosso
2 cm di radice di zenzero fresco
qualche spicchio d’aglio
un cucchiaino di curcuma
due cucchiaini di aceto di vino bianco
un cucchiaino di coriandolo in polvere
un cucchiaio di coriandolo fresco tritato
un cucchiaino di curry garam masala
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
un cucchiaino di pepe nero macinato
un cucchiaino di semi di senape nera
sale grosso (circa mezzo cucchiaino)
olio di semi
mezza tazza d’acqua
Scaldare l’olio di semi, abbondante, in una padella ed aggiungere le cipolle tritate. Dopo averle fatte rosolare per qualche secondo, abbassare la fiamma in modo che si caramellizzino lentamente. In seguito alzare la fiamma e, dopo un minuto, aggiungere l’aceto (attenzione: sfrigolerà), lasciando che evapori. Le cipolle bruniranno, dovranno essere marroni ma ovviamente non bruciate. A questo punto rimuoverle, facendo in modo che siano meno unte possibile, e frullarle insieme a un cucchiaio di olio di oliva dentro un mixer. Si otterrà così una salsa agrodolce di cipolle brunite, che consiste nella base del piatto e verrà conservata.
Macinare grossolanamente l’aglio, lo zenzero e i peperoncini privati dei semi, per poi frullare anch’essi in un frullatore nel frattempo ben pulito, amalgamando fino ad ottenere una salsa. Unire poi la curcuma, il coriandolo in polvere, il curry gasam masala e la cannella. Frullare ancora e tenere da parte.
In un pestello, macinare i grani di pepe nero, i grani di sale e i semi di senape, tenendo poi da parte.
In una padella piena d’olio caldo, aggiungere la pasta di aglio, zenzero e peperoncini e cuocerla. Deve esserci talmente tanto olio che la pasta non tocchi il fondo della padella, ma in qualche modo “galleggi” ; quando essa bollirà, unire il pollo tagliato a cubi e mescolare bene in modo che assorba il condimento, fino a quasi cottura. Ora è il turno della salsa di cipolle: aggiungerla e mescolare per un minuto, poi aggiungere mezza tazza d’acqua e continuare la cottura per altri due minuti. A questo punto abbassare la fiamma al minimo e cuocere per mezz’oretta, mettendo un coperchio e mescolando spesso. Sarà normale se la salsa diventerà molto scura.
Servire spolverando col mix di spezie, il mix di pepe/sale/senape e il coriandolo fresco, con del riso basmati bollito.
Photo Credit:
http://www.colonialvoyage.com/eng/asia/india/goa/images/foto2.jpg
http://www.panjiminn.com/images/goa.jpg
http://www.lisbon-tourism.com/img/gallery/en/belem-tower-lisbon.jpg
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