stoccafisso

L’incredibile storia dello stoccafisso e il viaggio di Pietro Querini

Ai miei amici Luca (norvegese d’adozione), Sofia (che lo sopporta) e Alessia (calabrese che non mangia lo stocco).

 

C’è una sostanziale differenza tra baccalà e stoccafisso, sebbene entrambi derivino dallo stesso pesce. Il baccalà è il merluzzo conservato sotto sale (che, infatti, richiede una dissalatura di molti giorni); lo stoccafisso è invece il merluzzo essiccato. In Veneto, però, per bacalà si intende proprio lo stoccafisso.
L’intento di oggi non è certo prendervi in giro: per spiegare questa confusione lessicale racconterò una storia incredibile che parte da Venezia, arriva fino al circolo polare artico per concludersi dall’altra parte d’Italia, in una regione che pochi assoceranno a questo straordinario prodotto ma che, in realtà, vi ha a che fare più di tutte le altre.
Ci sono poi momenti in cui capita sottomano un libro, un po’ romanzo, un po’ biografia, da cui magari ti aspetti poco ma che ti fa scoprire tutto. Il protagonista è il classico nobile veneziano dell’epoca d’oro della città, il ‘400: Pietro Querini era membro di una famiglia potente, faceva parte del Maggior Consiglio (una specie di élite politica che controllava la città), produceva vino Malvasia nei suoi possedimenti in Grecia per poi commerciarlo nelle Fiandre. È per questo motivo che con la sua nave, la Gemma Querina, salpa il 25 aprile 1431 insieme a sessantotto uomini di equipaggio; il viaggio si presenta privo di insidie, la rotta è ben conosciuta, l’esperienza dei marinai altissima.

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Tuttavia, doppiata la Bretagna, una tempesta impedirà alla Gemma Querina di arrivare a destinazione: venti fortissimi la sospingono prima verso l’Irlanda e poi, rottosi il timone, alla deriva nell’oceano con l’inverno ormai alle porte. L’equipaggio decide di dividersi: del primo gruppo, imbarcatosi su una piccola scialuppa, si persero le tracce per sempre; il secondo invece, più numeroso ed in cui era presente anche Querini, continuò ad andare alla deriva fino a sbarcare su una piccola isola il 14 gennaio 1432. Loro non potevano saperlo, ma si trovavano in un arcipelago dell’attuale Norvegia, non lontano dal circolo polare artico.
Gli undici superstiti non sarebbero sopravvissuti a lungo con un clima ostile e pochissime risorse alimentari se non fossero stati salvati e rifocillati dai pescatori di un’isola poco distante, Røst (da pronunciarsi “roest”), chiamata poi Rustene dai veneziani. La storia, sia del viaggio che della permanenza in quelle terre è davvero avventurosa ed intensa: quello che a noi però preme sapere è che questi pescatori si nutrivano principalmente di carne di merluzzo essiccata al vento e al sole (che in estate da quelle parti non tramonta mai), chiamata stokkfisk (da pronunciarsi “stocfesk”), che offrirono subito ai loro nuovi amici e che fu, da loro, oltremodo gradita.

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Pietro Querini ed il suo equipaggio furono ormai pianti per morti. In realtà, aiutati dai pescatori, riuscirono a costruire una piccola barca con cui poterono ripartire (tranne un paio di marinai che decisero di rimanere per sempre a Røst) e, in 24 giorni di viaggio in barca, a cavallo ed anche a piedi attraverso Norvegia, Svezia e Germania, ricomparvero a Venezia. Di cosa potevano essersi nutriti durante il ritorno? Di stokkfisk, ovviamente: prodotto a lunghissima conservazione, saporito e nutriente. Nella città lagunare il successo dell’ormai ribattezzato stoccafisso fu immediato ed i veneziani ne diventarono subito grandi importatori e consumatori, anche se poi il nome fu soppiantato da bacalà, derivante dallo spagnolo bacalao, nonostante non si stia parlando del baccalà propriamente detto.
Querini fu sempre grato agli umili ma generosi abitanti di Røst e, a loro volta, questi ultimi sono riconoscenti verso il mercante veneziano, che ha permesso di far conoscere il loro prodotto in tutto il mondo. Nell’isola di Sandøy, poco distante, esiste tuttora un cippo in suo onore.

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Dicevamo: i Veneziani erano mercanti eccezionali e, una volta ripercorsa con più cognizione la rotta di Querini e procuratisi tutto lo stoccafisso che volevano, iniziarono a commerciarlo nelle altre parti del mediterraneo: non è un caso che in molte città portuali italiane (Genova, Ancona, Messina…) ci siano numerosi piatti tipici a base di merluzzo essiccato. Eppure una sola regione possedeva le condizioni storico-geografiche ideali per appropriarsi di questo prodotto e farlo suo per sempre: molte località calabresi sono nate come colonie greche sul mare più di 2000 anni fa, trasferendosi nell’entroterra più inaccessibile nell’epoca della pirateria e delle scorribande, per poi riconquistare il mare solo in epoca recentissima. Fattore che ha paradossalmente frenato lo sviluppo della pesca in una regione che ha il dieci % delle coste italiane ma che ha reso il pesce fresco roba per pochi, se non proprio per ricchi. Il pesce secco invece (e in Norvegia si secca nelle migliori condizioni possibili) si conserva molto meglio di qualsiasi altra proteina, molto meglio di carne e pesce nonché dei salumi, specialmente in epoche in cui i frigoriferi non erano neanche nel piano su scala secolare delle invenzioni, è adatto a grandi viaggi (tra l’altro ingombra molto meno di quanto renda) e riesce a raggiungere intatto le località dell’entroterra.

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Riassumendo: lo stoccafisso era di gran lunga la derrata più nutriente ed economica disponibile sul mercato. In Calabria e nella provincia di Reggio in particolare, ormai è considerato un prodotto locale a tutti gli effetti. Esistono ristoranti che servono solo stoccafisso (chiamato stocco), negozi che vendono solo stoccafisso, un tipo di pasta, la stroncatura, che viene condita esclusivamente con sugo di stoccafisso.
Anche quest’ultima vanta una storia quasi inverosimile: trafilata al bronzo, a forma di linguina, si racconta che venisse fatta con gli scarti della lavorazione delle varie farine raccolti con la scopa a fine giornata. Visto il processo di produzione fino a pochi anni fa veniva considerata illegale e veniva venduta nei fogli di giornale: ora viene semplicemente prodotta con una consistente percentuale di farina integrale.

Quello che dovrebbe sorprendere non è tanto la storia in sé (che è bellissima) o i suoi sviluppi, quanto il rendersi conto di come, ancora una volta, quello di “tradizione” sia un concetto molto aleatorio ed opinabile. Lo stoccafisso è un prodotto tipico sia norvegese che calabrese e tutto questo per via del naufragio di un ricco mercante, il suo spirito d’avventura e l’ospitalità squisita di una comunità semplice, che vive ai confini del mondo, vegliata dall’aurora boreale e che si nutriva dell’unica cosa che aveva, senza considerarla un prodotto raffinato.

Post scriptum: l’isola di Røst ha mantenuto rapporti amichevoli con l’Italia fino ai giorni nostri, tanto da essere gemellata con Sandrigo, in provincia di Vicenza, dove si prepara il celeberrimo bacalà alla vicentina. Inoltre è il punto di partenza (o di arrivo, a seconda) della cosiddetta Via Querinissima, che ripercorre il viaggio di ritorno del mercante veneziano allo scopo di promuovere il turismo e la cultura di queste zone. Infine dei compositori musicali del posto (Hildegunn Pettersen ed Henning Sommero) hanno scritto l’opera musicale “Querini” che, attraverso le narrazioni del suo diario, rievoca le origini della cultura locale.

L’opera si può apprezzare qui:

Lettura consigliata:

Alla larga da Venezia – L’incredibile viaggio di Pietro Querini oltre il circolo polare artico nel ‘400, di Franco Giliberto e Giuliano Piovan (Le Maschere Marsilio edizioni).

STRONCATURA CON RAGÙ DI STOCCAFISSO

(per quattro persone)

320 gr di stroncatura (o tagliatelle integrali)
500 gr di pomodori ciliegini o datterini dolci
300 gr di stoccafisso già ammollato
uno spicchio d’aglio
un peperoncino piccolo
un bicchiere di vino bianco
olio extravergine d’oliva
farina 00
prezzemolo tritato
basilico
sale, zucchero, pepe nero

Tagliare in due i pomodorini e schiacciarli in uno scolapasta per fargli perdere un po’ di liquido. Soffriggere lo spicchio d’aglio tagliato in due ed il peperoncino tritato nell’olio; dopo un minuto togliere l’aglio ed unire il basilico ed i pomodorini con un cucchiaino di zucchero. Salare, abbassare la fiamma e coprire in modo che si restringano creando un sugo abbastanza denso (basteranno pochi minuti di cottura).
Tagliare a dadini il filetto di stoccafisso, infarinarlo leggermente e farlo soffriggere in un altro tegame, con olio d’oliva già caldo. Aspettare che il pesce si asciughi e poi sfumare col vino bianco.
Unire poi le due preparazioni facendole saltare un minuto, in modo da amalgamarsi, spolverando con pepe nero e prezzemolo tritato. Condire la pasta, lessata in acqua salata.

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Photo Credit:
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Autore Davide Maniaci

Laureato in Storia, giornalista pubblicista per due settimanali locali. I miei interessi spaziano dalla cucina ai viaggi, dalla storia dell'arte alla musica rock. Tutto questo riassunto in un obiettivo: la divulgazione. Amo l'idea che chiunque possa sapere tutto e nel mio piccolo provo a realizzarla. Curo una rubrica di cultura gastronomica su ilovefoods.it dal 2015.

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