Premessa:
Giorni fa, mentre guardavo in televisione Pechino Express e rimanevo basito dall’ignoranza, dalla volgarità e dalla maleducazione di Tina Cipollari (che, a ben vedere, rientrerebbe a buon titolo nella nostra rubrica: un suo antenato doveva essere coltivatore o venditore di cipolle, una delle basi della cucina europea), ammiravo anche i paesaggi ed assaporavo con gli occhi gli stralci di tradizioni culinarie della Colombia che Rai2 mi proponeva.
Buona parte del Sudamerica, specialmente quello che dà sul mar dei Caraibi, si divide in “prima” e “dopo” l’arrivo di Colombo. Infatti il toponimo “Colombia” non ha bisogno di presentazioni, anche se Colombo lì non sbarcò mai. “Venezuela” invece vuol dire “piccola Venezia”, perché sempre il miope ma intraprendente Cristoforo vide le palafitte degli indigeni e pensò alle case sull’acqua della Serenissima, la città più bella del mondo.
E così via. Inoltre ed anche per questo, ad un signore che ha pensato fino alla morte che i nativi americani fossero giapponesi, dobbiamo gran parte della tradizione alimentare europea degli ultimi cinque secoli.
Ad Alice, eroica, con la quale ho l’onore assoluto di condividere la vita e le puntate di Pechino Express
a Cristoforo Colombo, autore involontario del primo “Pechino express” sudamericano
Spesso chi pensa alla cucina dal Messico in giù pensa a piatti “esotici”. Un aggettivo che, in ogni caso sminuisce, un’intera cultura. La cucina è uno stato d’animo ed un insieme di regole, ma, soprattutto, nasce dall’opera degli individui. È infatti ormai impossibile cercare, in tutto il mondo, una cucina che non sia frutto dell’incrocio tra due o più culture: figuriamoci poi se le culture sono così eminenti ed importanti come quelle fiorite in Spagna ed in America latina alla fine del ‘400. Per “scambio colombiano” si intende proprio questo: lo scambio di animali, piante ed idee tra i due continenti. E, di conseguenza, il cambiamento delle cucine di entrambi i popoli dovuto alla “scoperta dell’America” ed ai successivi commerci. Il termine fu coniato da uno storico inglese, Alfred W. Crosby, nel 1972.
Per comprendere meglio questo concetto bisogna tener conto di due cose. La prima è un paradosso: Colombo, è noto, voleva arrivare in Asia in meno tempo per cercare una nuova via delle spezie che in America non esistevano: sono stati gli Europei a introdurle nel Nuovo mondo. Spezie, come è noto, poi diventate la caratteristica più riconoscibile dei piatti sudamericani. La seconda cosa da considerare è che in questo caso l’incontro è avvenuto tra tre culture: non è possibile sottovalutare l’influenza africana, quella degli schiavi neri che furono costretti a portare con sé alcuni alimenti tipici (come la banana) ed alcune tecniche di cottura.
Per quanto riguarda l’Europa, non occorre dilungarsi troppo: prima del 1492 erano sconosciuti il mais, la patata, il pomodoro, il cacao, il peperone, l’arachide ed il tacchino. In altre parole, senza l’America, niente pizza, niente Gianduiotti, niente polenta. Alimenti ora considerati “tradizionali”. Meno nota la situazione inversa, come cioè (oltre alle spezie) noi abbiamo implementato la cucina tradizionale che fu degli inca o degli aztechi.
Gli europei hanno sempre avuto la presunzione di essere gli unici capaci di imporsi come motore della cultura e dei suoi incroci con le altre. In realtà, anche prima di loro, gli scambi tra le varie popolazioni americane erano diffusissimi, anche per via dell’espansionismo guerriero degli aztechi, in grado di creare un vasto e saldo impero. Il cacao, ad esempio, fu da loro assimilato dalle popolazioni conquistate sulla costa messicana e poi usato addirittura come moneta di scambio. Un simbolo profondo, dunque, che soltanto unito agli ingredienti portati da “noi”, come lo zucchero o la cannella sarebbe poi diventato un prodotto famosissimo e tipico dell’area.
Quella degli europei di partecipare al métissage culinario con i nativi americani non fu propriamente una scelta, ma una necessità. I conquistadores, infatti, non avevano donne al seguito. Chi gli avrebbe preparato da mangiare? Le donne indigene, naturalmente, alle quali fu chiesto di adattare, a modo loro, le istruzioni date ed il prodotti provenienti dall’Europa. Tutto questo finché gli invasori erano pochi ed i carichi delle navi erano sufficienti a soddisfarli tutti. Successivamente i loro discendenti si videro costretti a ricorrere alle materie prime locali, associandole al loro regime alimentare, coi prodotti europei sempre più costosi e, di conseguenza, rari. Furono gli spagnoli ad introdurre l’uso del grasso, sia animale che vegetale e della frittura. Una tecnica sconosciuta fino ad allora in America, in cui il modo principale per cucinare era la bollitura. Adesso invece, in Venezuela, il termine “frito” indica il pasto in sé, talmente è diventata comune questa cottura.
La cucina sudamericana, tranne in casi particolari come l’Argentina (in cui la presenza europea è fortissima ed esistono tuttora tantissime persone nipoti di italiani), non è stata rifondata integralmente come la nostra, ma soltanto arricchita gradualmente. Il grano e il vino sono certamente arrivati e vengono certamente usati, ma giusto come diversificazione, come ingredienti saltuari. Uniche eccezioni: zucchero e spezie.
Ci sono stati anche piatti già codificati che sono entrati nei menù fissi degli odierni ristoranti sudamericani. Uno per tutti: il ceviche (da leggersi “sevice”). È un luogo comune, ancorché affascinante, quello che lo vuole creato dai numerosi giapponesi emigrati in Perù un centinaio di anni fa. In realtà quella di marinare il pesce in sostanze acide lasciandolo crudo è una tecnica prettamente europea.
Spesso, infine, il cammino dell’intreccio tra culture non si arresta, ed ecco che i piatti meticciati in un luogo trasmigrano in un altro, per essere poi meticciati a loro volta e abbelliti. Sono stati i coloni spagnoli ad introdurre il tamal, un pasticcio di pasta di mais farcita avvolto in foglie di mais e poi cotto a vapore. Eppure il mais è un ingrediente americano.
Quindi: Colombo ha sbagliato tutto. Cercava le spezie e non le ha trovate. Cercava l’Asia ed ha trovato l’America, sbattendoci letteralmente contro. Eppure questo incidente della storia costituisce l’indice di un riuscito incrocio tra culture. Una situazione imposta, della quale però entrambi i mondi hanno tratto benefici immensi dal punto di vista culinario. Forse di più gli Europei: facendo un bilancio, è evidente anche da questo breve articolo come sia cambiata leggermente di più la nostra cucina, rispetto a quella altrui. In ambito gastronomico, è stata più l’America a colonizzare l’Europa.
CHILI CON CARNE
(per quattro persone)
400 gr di polpa di spalla di manzo
un peperoncino secco piccante
paprika forte
due cucchiaini di cumino in polvere
mezzo peperone giallo
due scalogni
mezza carota
uno spicchio d’aglio
due foglie di alloro
quattro cucchiai di olio extravergine d’oliva
un bicchierino di mescal o tequila
250 gr di pomodori pelati
un cucchiaino di concentrato di pomodoro
due cucchiaini di zucchero di canna
150 gr di fagioli neri
riso americano a chicco lungo (ottimo quello della “Uncle Ben’s)
sale
pepe
Mettere i fagioli a bagno la sera prima, per almeno 12 ore. In seguito cuocerli in acqua bollente e poco salata, senza che si disfino.
Mettere in una casseruola, dopo averli finemente tagliati, scalogno, carota e peperone, insieme allo spicchio d’aglio tagliato a metà e privato dell’anima centrale ed al peperoncino sbriciolato; farli soffriggere con l’olio fino a che lo scalogno non sarà imbiondito. Aggiungere dunque la carne tagliata a dadini di circa 2 cm per lato.
Quando la carne sarà ben rosolata (cinque minuti circa), aggiungere il pepe e sfumare con il mescal, per poi aggiungere i pomodori tritati grossolanamente.
Asciugare il preparato per qualche minuto a fuoco vivace, quindi unire il concentrato di pomodoro, il cumino, la paprika, lo zucchero di canna, l’alloro e il sale. Coprire la pentola e cuocere per 45 minuti circa a fuoco lento, mescolando ogni tanto. La
A metà cottura prendere gli spicchi d’aglio, schiacciarli e riaggiungerli nella casseruola.
A cinque minuti dal termine della cottura aggiungere i fagioli.
Servire caldo con il riso bollito di contorno.
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