Premessa:
I problemi di Berlino sono essenzialmente due. Il primo: non è così bella come la gente potrebbe pensare. Se è vero che molte città sono pura atmosfera e le si vive/ama senza niente da visitare (New York, Genova, Dubai, Tokyo), Berlino ha perso la sua identità due volte, nel 1944 e nel 1989 e deve ancora ritrovarla. Un ibrido di molti stili senza essere ancora nulla di definito. Il racconto è eccezionale, ma le suggestioni spesso assenti. Una città unica, che non è però sinonimo di “indimenticabile”.
Tutto questo è assolutamente scusabile. Il secondo problema, stavolta imperdonabile, è che la cucina di questa parte di mondo è oscena. Si dirà: sono protestanti, non sono in grado di cucinare salato ma almeno i dolci… No. Neanche quelli. La cucina prussiana fa schifo. Per fortuna esiste la globalizzazione.
A tutti quelli che guidavano una Trabant.
Non che in città non ci sia nulla da fare: è superfluo decantare la vita notturna o i locali “off”. Ma noi siamo qui per parlare di cibo. Alcuni sapranno già che il döner kebab, cioè la versione “da passeggio” è nato a Berlino Ovest, da immigrati turchi, più o meno negli anni ’70. Il kebab ovviamente esisteva già da secoli, ideato dai soldati persiani che arrostivano la carne direttamente sulle spade (per non perdere tempo in caso di battaglia improvvisa) e poi assimilato dai turchi, i nuovi invasori di quella zona. Ma il döner kebab, ormai diffusissimo anche nel nord Italia, è nato qui.
L’ideale punto di partenza non può che essere questo, unendo il sapore e la tragedia. Siamo a Kreuzberg, quartiere ora centralissimo ed un tempo periferico (i paradossi che si hanno quando un muro, nel mezzo della città, fa da confine). Scendendo dalla metropolitana, a destra il Jüdisches Museum, straordinaria struttura commemorativa dell’eterna ed inesorabile tragedia di un popolo.
A sinistra invece un chiosco assolutamente anonimo, senza pretese, dall’aria dimessa e sporca. Guardando meglio si vedono, però, almeno cinquanta persone in fila in religioso silenzio. È il kebab di Mustafa. O, per essere precisi, Mustafas Gemüsekebap (in tedesco: “Il kebab alle verdure di Mustafa”) indirizzo: Mehringdamm 32. Raramente, nella ristorazione mondiale, si trova un’unanimità così ferrea. Provate a scrivere “Miglior kebab di Berlino” su google in ogni lingua possibile. I primi dieci risultati vi portano qui. “Miglior kebab di Berlino”, data la storia, sarebbe come dire “miglior pizza di Napoli”.
Diffidate anche da chi, snob, lo snocciola come una “trappola per turisti”. Non è vero: i turisti ci sono, ma il kebab di Mustafa vi farà cambiare la percezione di cosa sia un döner kebab e vi farà passare la voglia di mangiarne altri, in futuro, da qualunque altra parte. Si aspetta, perché si aspetta: sono lenti, disorganizzati, pigri. Ma si vede che tutto è diverso già dalla carne stessa: una polpetta molto più corposa, con lembi di peperone già all’interno e tagliata con un coltello molto più simile a una scimitarra che alla farfalla cui siamo abituati. Ciò che atterrisce è il gusto: Mustafa o i suoi degni compari condiscono il kebab con salse (sceglietene una sola), verdure saltate (zucchine, melanzane, peperoni), feta sbriciolata, limone ed un’insalata di pomodori piena di spezie: coriandolo, paprika, menta, origano… Il sapore è diverso ad ogni morso. Complesso, Durevole. Un piatto. Non sto esagerando, sto sminuendo. Qui inizia e finisce l’epopea unta e poco igienica del döner kebab. Andateci, magari non ad ore pasti.
A Berlino, come in ogni metropoli occidentale, ci sono tutte le cucine possibili. Ma che senso avrebbe mangiare il sushi? Non sarà né migliore né peggiore di quello preparato da cinesi a Milano. Si possono dunque cercare quattro suggestioni diverse: la cucina del posto, per chi vuole farsi del male (con una parziale eccezione, che vedremo alla fine). I piatti di una grande comunità qui presente, quella libanese, che al contrario di quel che avviene in Italia, nelle gastronomie prepara tutto artigianalmente. Le atmosfere dell’est: qui iniziava “l’altro mondo”, il socialismo reale, del quale ora non c’è più traccia ma che si può fingere di aver trovato nei take away dei polacchi, scorbutici e silenziosi o nei finto-opulenti locali gestiti da russi. Una lingua che, 40 anni fa, qui tutti conoscevano abbastanza bene. Infine la ricerca della fusion più improbabile (ma riuscita) a cura di giovani avventurieri che hanno superato ogni convenzione e tradizione.
Dando per scontato che il kebab di Mustafa ci abbia saziati per tutta la giornata, ripartiamo al mattino dopo da un’altra zona di Berlino Ovest, quella che fa capo alla Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche. I ruderi di questa chiesa, bellissima, sono quello che rimane dopo i bombardamenti degli americani. L’effetto delle macerie affianco a grattacieli modernissimi è straniante, come vedere un antico egizio che cerca Pikachu sulle piramidi in compagnia di un marziano. Potrebbe essere la visita più memorabile di Berlino tutta.
Da qui, due strade: Habibi indirizzo: Goltzstraße 24 , take away libanese in cui con 15 euro (per due persone) si ha un piatto enorme, che non si finirà, con tutte le specialità di una cucina che potrebbe essere la migliore della sua zona. Chi non conosce le falafel, il tabouleh e l’hummus? Meno noti, forse, il fattouh (insalata a base di prezzemolo, un’erba aromatica che diventa protagonista) e la shawarma, che è semplicemente la versione araba del kebab. Qui è tutto fatto in casa ed il sapore è, semplicemente, diverso. A fine cena, per evitare forse che moriate di indigestione dentro al loro locale, offrono un ottimo the.
Oppure la cara, vecchia, tamarrissima Madre Russia. Grüne Lampe indirizzo: Uhlandstraße 51 è gestito da russi, l’inglese bene ma non benissimo, ma la domenica mattina ricreano la Santa Alleanza con la tradizione che più britannica non si può. Il brunch. Nessun piatto di una cucina che, in Italia, è quasi sconosciuta, è assente nel buffet a prezzo fisso. Non è opportuno ora esporre un trattato sulla cucina della nazione più grande del mondo, mi limiterò al nozionismo: chi ha voglia di zuppa proverà il boršč (da pronunciarsi con la “sc” di “sciarpa”), il piatto che fu offerto alla regina Elisabetta quando andò in visita nelle terre dello zar. Una zuppa corposa a base di barbabietola, cavolo, carote e fagioli. La cercavo da anni come farebbe un rabdomante grassoccio ed il sapore è come mi aspettavo che fosse: ricco, potente, aromatico. I più sofisticati vireranno sui blinis, molto simili alle crêpes, con ripieno sia dolce che salato (mi tocca specificare come la cucina russa abbia, incomprensibilmente, rincorso quella francese per decenni). Oppure sui pelmeni, piccoli ravioli ripieni di carne, col latte nell’impasto e poi saltati in padella o cotti al forno per diventare croccanti. Vanno accompagnati con panna acida. Uno tira l’altro. E poi insalate di rape e polpette di carne non meglio identificata (ma buona). Grande cucina, quella russa, chi lo avrebbe mai detto.
Poniamo che abbiate scelto entrambi questi locali, per pranzo e per cena. Rimane, nell’ultimo giorno a disposizione, da esplorare Berlino Est muniti di colbacco.
La capatina all’East Side Gallery, il tratto di muro meglio conservato, è d’obbligo. Molti graffiti sono evocativi e ben fatti, nonostante siano a volte sporcati dagli scarabocchi di quegli sfigati che, non sapendo disegnare, rovinano l’arte altrui. La passeggiatina in uno dei pochi luoghi sovraffollati della città serve, anche, a stimolare l’appetito.
Poi, rapidi, verso Alexanderplatz, ex simbolo stesso della Berlino socialista ed ora ritrovo sia per i giovani alternativi che per i capitalisti in cerca di centri commerciali e vacuità da primo mondo. Noi proviamo ancora a rifugiarci sotto il patto di Varsavia, senza piani quinquennali ma la stabilità (gastronomica). Pierogi fa per noi (indirizzo: Brunnenstraße 181): un localino con dieci coperti in cui nell’ordine è meglio parlare polacco (tutto ok), tedesco (ma sì) o inglese (già più complesso). I pierogi sono anche i ravioli polacchi, ma non finisce qui: tra una zuppa di pomodoro di rara fattura e il bigos, piatto invernale indigeribile, semi-mitologico e buonissimo a base di carne di manzo, würstel, crauti e funghi, la cucina polacca si dimostra saporita e robusta come da programma. I pierogi rimangono il piatto forte: pasta elastica, morbidissima, delicata ed un ripieno (crauti e funghi, ça va sans dire) che si accompagna perfettamente. Il tutto per neanche dieci euro a persona. Quanti ristoranti polacchi trovate in Italia? Appunto. Andateci.
Per cena rinneghiamo tutto e scegliamo, appunto, la globalizzazione. Esiste un manipolo di giovani italiani ed indiani che hanno avuto, pressappoco, questa idea: “Facciamo una pizza con il pane indiano, le spezie messicane ed un tocco di italiano ed ebraico”. Signori, ecco a voi il W-Der Inbiss indirizzo: Kastanienallee 49 . Non c’è dubbio che il piatto forte sia la pizza al naan, il pane indiano morbido di cui parlavo prima, da condire con combinazioni sfiziose e gourmet. Ma chi è goloso scelga la degustazione: 20 euro totali per un piattone che riassume la filosofia del posto, essenzialmente veg ed essenzialmente informale. Tanti curry di verdure rossi e bianchi, chutney e salse da tutto il mondo, un’insalata di alleggerimento ed il naan. Messico? India? Impossibile dirlo con certezza, inutile chiederselo più di tanto. Nei sapori e nelle preparazioni non c’è nulla fuori posto.
Essendo arrivati alla conclusione di questa tre giorni ed avendo volutamente tralasciato alcuni dettagli sulla città, molti si chiederanno: ma il currywurst lo avrà dimenticato apposta? Sì. L’altro cibo che ha reso Berlino famosa, gastronomicamente parlando, è questo salsiccione grigliato spolverato di curry in polvere e di una salsa che, negli intenti originali, era simile al ketchup. A conti fatti, è spesso ketchup. Questo è un “piatto” berlinese DOC, creato da una venditrice ambulante (tedesca) nell’immediato dopoguerra ed ora famosissimo.
Lo si trova in ogni dove, a prezzi più o meno bassi e può andare dallo scadente al buonissimo. Il migliore dovrebbe essere quello di Konnopke indirizzo: Schönhauser Allee 44° , non lontano dagli ultimi due locali da noi visitati. Ma starà al visitatore, se avrà il coraggio di mangiarne più di uno, scegliere quale sia il migliore di Berlino. Ammesso che ci sia. Io il migliore della mia vita, ad esempio, l’ho mangiato al confine con l’Austria. Ma questa è un’altra storia.
Photo Credit:
Tourist Attract
Visit Berlin
Tripadvisor
Olga’s Flavor Factory
Globe Trotter
Berlin
S&D Polish Deli
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