rijsttafel

Il rijsttafel, la cucina coloniale olandese in Indonesia

Ad Alice, per tutto.

Questa è la storia di un’usanza culinaria che non solo è “fusion” (ma la fusion vera, quella nata 300 anni fa; non quella di chi si vuole atteggiare ai giorni nostri senza saperne niente), ma, superando a destra il concetto stesso, è stata rifiutata dai colonizzati e riscoperta dai colonizzatori.

Lo scenario è l’Indonesia, ora il paese con più islamici del mondo intero ma, un tempo, fiore all’occhiello dell’Impero coloniale olandese (arcipelago chiamato, a quell’epoca, delle “Indie  Orientali” ). Come sempre nella storia coloniale, il primo approccio Europeo fu dei portoghesi che arrivarono nel 1512, trovando vari stati tra cui il potente regno Majapahit. L’errore più grande che facciamo noi europei è il credere che negli altri continenti non ci fosse nulla prima del nostro arrivo: c’erano, invece, imperi e nazioni, stati e conflitti, alleanze, guerre, tradizioni, religioni incredibili ed una profonda consapevolezza delle proprie radici culturali. I portoghesi riuscirono a farsi largo sfruttando la debolezza di questo stato ormai in decadenza, portando poi le spezie dalle altre isole conquistate, in particolare le Molucche, e le missioni Cattoliche (utili o meno che fossero) ma senza, però, riuscire a lasciare niente di significativo nelle tradizioni di queste zone. Pochi decenni dopo, nel 1602, subentrarono gli olandesi, che stavano vivendo il loro “secolo d’oro” : all’apice nella filosofia (Spinoza), nel commercio delle spezie, nell’arte (Rembrandt ed il mio prediletto, Frans Hals), nella navigazione: fu olandese il primo navigatore a “scoprire” l’Australia (abitata da circa 60.000 anni, ma non importa). L’odierna capitale della Repubblica di Indonesia, Giacarta, fu fondata in quegli anni col nome di Batavia e l’isola su cui sorge, Giava, diventò presto il centro di una delle più ricche colonie della terra.

Frans_Hals,_De_magere_compagnieFrans Hals, De Magere Compagnie (1635)


Per legittimarsi agli occhi della popolazione occupata,
gli olandesi ebbero un’idea singolare ma, in un certo senso, perfettamente logica: creare una tradizione culinaria unendo tutte quelle delle varie isole che compongono l’Indonesia, riadattandola con nuovi ingredienti (sia i loro, sia quelli introdotti dalle altre colonie) e sovrapponendola a un modo popolarissimo, indonesiano, di servire i cibi: il nasi padang, ossia un banchetto con numerose portate (da 12 a 40) di scarse porzioni, in piatti a forma di barchette.
Assemblare le numerose cucine non fu certamente semplice, dato che erano spesso diversissime ed inconciliabili tra di loro; solo per questo motivo si può trovare accettabile accostare il satay, dall’isola di Giava (spiedini di carni varie cotti alla griglia, marinati nella curcuma e serviti in salsa di arachidi) col rendang, sorta di spezzatino di manzo fatto riposare a lungo in latte di cocco, zenzero, tamarindo e lemongrass, tipico dell’Isola di Sumatra. O il nasi goreng, di origine incerta (forse malese), riso fritto servito tiepido, con il semur, stufato di manzo importato direttamente dai Paesi Bassi a cui poi furono incorporati tofu e tempeh, semi di soia fermentati.

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L’idea di questo super-miscuglio di tradizioni serviti in un unico pasto fu all’apprenza vincente: prese il nome di Rijsttafel (da pronunciarsi, circa, “reiistafal”) diventando l’emblema del colonialismo olandese in quelle zone, relativamente integrato con le usanze locali e, anzi, capace di crearne una sintesi che rinforzasse l’armonia tra i popoli. Fu addirittura creato ad hoc un cerimoniale complesso ed articolato per servire le varie portate.
In realtà le cose andarono diversamente, e l’epilogo paradossale istruisce bene come in nessun modo la conquista e il dominio delle popolazioni con la forza possa poi tramutarsi in amicizia o accondiscendenza; dopo l’indipendenza indonesiana del 1945, il Rijsttafel sparì quasi completamente dai ristoranti e dalle tavole di questa parte di mondo. Certamente anche per il costo, certamente anche per la cerimonia estranea alle loro radici culturali; ma perché, appunto, era un modo di mangiare “olandese” , nonostante usasse ingredienti del posto. E la cultura olandese non era più gradita, semmai lo fosse stata in passato.
Allo stesso modo ad Amsterdam aprirono tantissimi ristoranti “indonesiani” che servivano Rijsttafel, gestiti sia da immigrati dalla ex-colonia sia, talvolta, da olandesi, che continuano tuttora una fiorente attività.

Blauw+rijsttafel+amsterdam

Oggi ho parlato meno del solito di cucina, me ne scusino i lettori. La riflessione tuttavia voleva chiudere il cerchio apertosi col mio primo articolo, “Il grosso equivoco della cucina fusion” : la cucina è un mezzo culturale e viene interpretata a seconda delle abitudini, della visione del mondo, del pregiudizio. Non esistono ormai tradizioni culinarie di lunga data, non esiste una cucina con ingredienti realmente “del luogo” .
E, allo stesso modo, la cucina può venire utilizzata come chiave per aprire serrature molto più ampie. Come, in questo caso, l’essere vanamente accettati da un popolo conquistato ma non vinto.

RENDANG DI MANZO
(per quattro persone)

(Si tratta di uno dei piatti più buoni che abbia mai mangiato; in Italia è rarissimo trovare ristoranti che lo servano. Non è così ovviamente nei Paesi Bassi ma anche a Parigi, in cui potete gustarlo al ristorante Indonésia)

INGREDIENTI:

1 kg di spalla di manzo, tagliata poi in grandi cubi (da circa 50 gr l’uno)
quattro foglie di kaffir lime (si trovano secche a Milano nel negozio Kathay, in via Rosmini)
un lemongrass
due litri di latte di cocco in latta, non zuccherato
un cucchiaio di pasta di tamarindo
due spicchi d’aglio
due scalogni
25 gr di zenzero
15 gr di curcuma
75 gr di galanga (una radice simile allo zenzero, ma più aromatica; si trova a Milano al negozio Kathay)
un cucchiaino di peperoncino in polvere
mezza noce moscata
sale, zucchero di palma

Pestare al mortaio o frullare gli scalogni, l’aglio, lo zenzero, la curcuma, la galanga, il peperoncino e la noce moscata. Mescolare bene la pasta ottenuta alla carne e marinarla per una giornata.
Cuocere in una padella, a fuoco lentissimo, il latte di cocco per 20 minuti fino a che l’olio e il grasso contenuti non vengano in superficie. Filtrare.
Mettere poi la carne ricoperta dalla marinata, le foglie di lime e il lemongrass tagliato a fettine in un wok, cuocendo a fuoco lento con 3 dl di latte di cocco, mescolando ogni tanto fino a far evaporare circa metà del latte. Aggiungere in seguito un altro dl di latte di cocco e la pasta di tamarindo, mescolando a fuoco medio-basso fino a che non sia evaporato tutto.
Continuare la stessa operazione con 1 dl di latte di cocco alla volta fino a che lo si sarà utilizzato tutto (sembra una tecnica strana, ma gli indonesiani fanno così). Ci vorrà circa un’ora e mezza, e la carne alla fine, una volta asciugato tutto il liquido, sarà tenerissima, profumata e saporita.
Si può servire con riso bollito e un’insalatina di cetrioli crudi, pomodori, basilico e carote grattugiate.

Photo Credit:
http://dutchies.co.za/wp-content/uploads/2014/10/rijsttafel-october-640×280.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/87/Frans_Hals%2C_De_magere_compagnie.jpg/1024px-Frans_Hals%2C_De_magere_compagnie.jpg
http://www.qraved.com/journal/wp-content/uploads/2015/10/nasi_main-640×427.jpg
http://static1.squarespace.com/static/555a4a93e4b0146a88b901c9/555a4b45e4b05222171a87af/555c3556e4b01071441c0650/1432106623586/Blauw+rijsttafel+amsterdam.jpg?format=750w
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Autore Davide Maniaci

Laureato in Storia, giornalista pubblicista per due settimanali locali. I miei interessi spaziano dalla cucina ai viaggi, dalla storia dell'arte alla musica rock. Tutto questo riassunto in un obiettivo: la divulgazione. Amo l'idea che chiunque possa sapere tutto e nel mio piccolo provo a realizzarla. Curo una rubrica di cultura gastronomica su ilovefoods.it dal 2015.

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