del caffè

Breve storia della scoperta e della diffusione del caffè

Ad Alice, grande estimatrice del caffè.

 

Il caffè non è, come molti crederanno, originario del Nuovo Mondo: nei paesi arabi il consumo è sempre stato molto elevato (al punto che, sembra, Maometto fu guarito col caffè da una grave forma di sonnolenza) da parte di ogni ceto sociale, a partire almeno dal 1400. Questo fatto è perfettamente logico: in una cultura in cui l’alcol è bandito, gli effetti di sobrietà e di stimolazione intellettuale dati dal caffè apparivano ideali per lo sviluppo degli studi matematici e del pensiero astratto.
Il primo europeo a notare questa strana bevanda, scura e amara, fu un medico viaggiatore tedesco, Leonhard Rauwolf nel 1582. In quest’epoca, di poco successiva alle grandi scoperte, iniziarono ad andare di moda prodotti prima sconosciuti: il cioccolato, il tè, il tabacco, che si diffusero subito ovunque e con successo. Il caffè invece stentò ad affermarsi: ancora cento anni dopo gli scritti di Rauwolf, era visto soltanto, tuttalpiù, come un medicinale. Il motivo può sembrare bizzarro, ma non lo è più di tanto considerando i tempi: il suo aspetto e la sua temperatura ricordavano ancora troppo da vicino la pece bollente, apprezzato strumento di tortura medievale.

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Nel 1700, improvvisamente, la svolta: il caffè inizia ad essere una moda tra le classi abbienti, che lo aggiungono alla loro cultura del lusso. Il termine “moda” non è casuale: non contava tanto l’infuso, ma il modo di gustarlo, le occasioni in cui poter ostentare le porcellane in stile cinese dove veniva servito. Diverso era il caso della borghesia, ceto che proprio in quegli anni si stava affermando nella società: il caffè, stavolta inteso come bevanda, era considerato una sorta di panacea universale, che, a seconda dei casi, rafforzava il fegato, purificava lo stomaco e il sangue, teneva svegli ma conciliava il sonno, stimolava l’appetito ma poteva anche calmarlo. Ma, soprattutto, rappresentava un’ottima alternativa all’alcol (di cui, ricordo, si faceva un consumo in quegli anni inimmaginabile ai giorni nostri) e alle sue proprietà inebrianti. Una celebre pubblicità dell’epoca per incentivare l’uso del caffè diceva, all’incirca: “con l’aiuto del caffè, l’umanità perduta nelle nebbie dell’alcol si risveglia alla ragione borghese, riacquistando tutta la sua proprietà lavorativa” . Una réclame che adesso farebbe sorridere, ma che risultò efficace, tanto che ancora due secoli dopo il caffè veniva ricordato come “lo strumento che riportò alla sobrietà un’epoca intera” . E tanto che, ancora oggi, alcuni pensano che il caffè riesca a far passare i sintomi di un’ubriacatura. La cosa, fra parentesi, è infondata: il caffè ha base acida, ed è dunque sconsigliato per chi ha lo stomaco già irritato dall’alcol.
Il caffè, dunque, come rimedio a tutti i mali possibili e con proprietà straordinarie che, però, non ha. Se si esaminasse un’altra di queste proprietà si noterebbe una cosa curiosa: questa bevanda veniva anche considerata capace di ridurre le energie sessuali fino quasi all’impotenza, tanto da essere consigliata ai religiosi. È quindi facile capire come in una società puritana (come ad esempio l’Inghilterra dell’epoca) uno strumento che è sia simbolo di sobrietà che capace di reprimere gli impulsi sessuali fosse una forza ideologica straordinaria. Curiosamente le donne inglesi, per fortuna meno puritane, protestarono più di una volta contro l’uso esagerato del caffè da parte degli uomini proprio per questa ragione.
Certamente, nonostante queste opinioni balzane, c’è un fondo di verità almeno riguardo la “proprietà lavorativa” descritta in quella sorta di spot pubblicitario: è dimostrato che la caffeina agisce sul sistema nervoso centrale, accelerando il pensiero ed i processi ricettivi, nonché ritardando il sonno e creando, dunque, più tempo per il lavoro. Nel ‘700, secolo del razionalismo, il caffè provocava (dal punto di vista chimico-farmacologico) ciò che l’etica protestante otteneva dal punto di vista ideologico-spirituale.

Non è neanche un caso, quindi, che la prima caffetteria sia stata aperta a Londra nel 1688 da Edward Lloyd, che la chiamò Lloyd’s Coffeehouse. Da Lloyd si andava, oltre che per bere il caffè, anche per discutere di qualsiasi argomento possibile. Data la sua posizione, fu presto frequentato soprattutto da agenti di traffico marittimo e da assicuratori. È proprio per questo che, cento anni dopo, il Lloyd’s perse il suo carattere di caffetteria e divenne una delle maggiori compagnie assicurative del mondo.

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Ovviamente non tutte le storie dei Caffè (intesi come locali) sono così spettacolari: bisogna soltanto sottolineare come la loro funzione non fosse affatto quella di oggi. Erano veri e propri circoli di élite in cui discutere di affari ma anche di politica o letteratura: le donne ed i non istruiti non erano ben visti o erano proprio cacciati. Non venivano serviti alcolici, venivano richieste buone maniere, sobrietà, alto profilo. Questi centri di comunicazione (sempre col pretesto che in teoria sarebbe stato lo scopo, ossia bere il caffè) avevano una funzione fondamentale in un’epoca in cui la stampa era ancora poco diffusa, quella di scambiarsi le notizie. Tanto che, mano a mano, alcune caffetterie divennero anche redazioni di giornali.

L’uso domestico del caffè, che tutti siamo abituati a percepire come normale, si è quindi sviluppato molto dopo il suo arrivo in Europa e la sua diffusione. È sempre la Gran Bretagna a condurre la classifica del consumo: una volta compreso che il caffè non era una moda passeggera, ma un rituale della quotidianità, si iniziarono a creare piantagioni autonome (senza più doverlo importare dagli arabi) nelle colonie americane, che esistono fiorenti ancora oggi. Sarebbe andato tutto bene, se non fosse che proprio pochi decenni dopo (metà del XVIII secolo) avvenne a Londra il passaggio, repentino eterno ed immutabile, dalla cultura del caffè a quella del tè. Un cambiamento improvviso, radicale, che nessuno storico sa ancora spiegare. Una possibile motivazione potrebbe essere il fatto che il caffè fosse importato da mercanti indipendenti, mentre il tè dalla Compagnia delle Indie, controllata dalla corona, che aveva dunque interesse al cambiamento del gusto e del mercato. Cambiamento che avvenne, con una rapidità ed una radicalità da lasciare ancora sbalorditi.

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Da quel momento in poi, dopo la rivoluzione Francese e l’ascesa definitiva della borghesia, il caffè perse ogni caratteristica esotica o affascinante e divenne uno dei tanti generi “superflui” consumati nel quotidiano, diffuso ormai in modo uniforme in tutta Europa (tranne in Gran Bretagna, ovviamente) ed accessibile a tutte le tasche.
Gli studi di medicina moderna confermarono alcune intuizioni ma ne smentirono molte altre: ai giorni nostri appare ovvio che il caffè non può essere una medicina universale né causa di disturbi bizzarri o imbarazzanti, ma soltanto un piacere momentaneo, intenso, da apprezzare con moderazione.

Letture consigliate: Storia dei generi voluttuari, di W. Schivelbusch (Mondadori).

Photo Credit:
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Autore Davide Maniaci

Laureato in Storia, giornalista pubblicista per due settimanali locali. I miei interessi spaziano dalla cucina ai viaggi, dalla storia dell'arte alla musica rock. Tutto questo riassunto in un obiettivo: la divulgazione. Amo l'idea che chiunque possa sapere tutto e nel mio piccolo provo a realizzarla. Curo una rubrica di cultura gastronomica su ilovefoods.it dal 2015.

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