Si mangia bene perfino sul Baltico – I sapori di Lituania e Lettonia

Tra Lituania e Lettonia cambia tutto. Cattolica, povera e caciarona la prima. Luterana, tecnologica e fredda, con tanta influenza russa, la seconda. Anche le due lingue, nonostante appartengano allo stesso ramo indoeuropeo (quello baltico), c’entrano poco fra loro. E c’è un altro luogo comune falso: quello che lì il cibo sia scadente, e basta. A differenza che in Italia, dove è veramente difficile mangiare male ma molto semplice pagare troppo per una cena discreta, su a nord-est si spende niente, in ogni caso, per una cucina sicuramente meno variegata. Ma basta sapere dove andare, e anche le vacanze a Vilnius e a Riga possono trasformarsi in una gioia non solo per gli occhi, in città che si girano col naso all’insù, ma anche per lo stomaco.

 

Ai miei trent’anni.

sapori di Lituania e Lettonia

Vilnius – birre artigianali e orecchie di maiale.

Qui si mangia a tutte le ore. Non è strano trovare gente che pranza alle 11 del mattino e altri che invece aspettano le 16. I ristoranti non fanno la pausa pomeridiana: o meglio, c’è ma dura un quarto d’ora e in quel periodo non è nemmeno possibile parlare coi camerieri. Vilnius è una città piccola ma frizzante, vivace, con un centro storico perfettamente tirato a lucido che è uno scrigno, dominato dalla malinconica fortezza sulla collina. Alcuni potrebbero definirla “hipster”, piena di giovani e di stranezze, ricchissima di spazi verdi. Ci si può imbattere a notte fonda in ragazzi seduti su un gradino che fumano narghilè e in una “repubblica”, Užupis, che vent’anni fa si proclamò indipendente e vanta un presidente (Jaap Van Ark) e una bellissima costituzione. Meta di artisti, città bohémienne, una luce perenne per via della latitudine e le testimonianze di un passato difficilissimo (con le altre due Repubbliche Baltiche, la Lituania condivide la micidiale tripletta delle invasioni comunista-nazista-comunista in pochi anni, durante la Seconda guerra mondiale), Vilnius ha una cucina che non si può certo definire “leggera”. Se abitassi qui diventerei grassissimo o, più probabilmente, farei un solo pasto al giorno. La colazione.

sapori di Lituania e Lettonia

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È tra le viuzze irregolari del centro che si trovano i birrifici, a volte piccoli, a volte nascosti, a volte con ampi tavoli all’aperto per approfittare delle poche serate calde. Pare siano duecento i tipi di birra diversi prodotti da queste parti, in Italia non ne arriva neanche uno. I prezzi sono minimi, si esce sazi con 10 euro. Come il Būsi trečias (busitrecias.lt , Totorių g. 18), il birrificio più antico della città. Arredamento rustico in legno, sempre pieno, personale giovane. Qui si viene per bere la birra della casa – la scelta non è ampia, una chiara e una scura, ma la qualità eccezionale – e soprattutto per mangiare piatti robusti della tradizione, con qualche strizzatina d’occhio a ricette estere. Si punta decisi su uno dei piatti nazionali, che vincerebbe sicuramente un premio anche se il cibo si giudicasse dall’estetica. Il šaltibarščiai (si legge “scialtibarsciai”, lontano parente del boršč russo) si serve freddo. Viene preparato con tanta barbabietola rossa lessata e grattugiata, cetrioli, kefir – latte acido tipico dell’Europa nord-orientale – e aneto. Il gusto è indescrivibile perché non ricorda niente di conosciuto, tende all’acidulo mitigato dalla freschezza del cetriolo. Sì, è il šaltibarščiai il re dell’estate.

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Chi preferisce la sostanza può virare sullo “stufato di agnello ubriaco” (non è una ricetta tipica e ricorda l’irish stew di Dublino, ma che buono, cotto nella loro birra artigianale) o sull’orecchio di maiale. Questo taglio inconsueto, che sta tornando di moda anche nell’alta cucina, qui piace molto. Al Būsi trečias lo servono stufato, con contorno di fagioli e panna acida. La consistenza è cartilaginosa, il sapore è delicato e diventa più forte in corrispondenza dei tratti carnosi, dove l’orecchio era attaccato all’animale. Astenersi schizzinosi.

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Ma le orecchie possono diventare anche un vero e proprio snack croccante, da mangiare con la senape come se fossero patatine fritte. Chi percorre la salita nella “repubblica di Užupis”, che porta verso la periferia, trova un luogo che sembra abbandonato, o un vecchio capanno per gli attrezzi. In realtà è un pub. Da Šnekutis (jususnekutis.lt, indirizzo sv. Stepono 8) un piatto costa dai due ai sette euro, e si va di tradizione.

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Dalle orecchie di maiale affumicate, tagliate a stick (il gusto ricorda vagamente quello del bacon) fino al kepta duona, l’onnipresente pane fritto. Il loro tipico pane nero di segale viene fritto, servito a listarelle e strofinato con generosissime porzioni di aglio crudo. Accanto c’è una salsa al formaggio, come intingolo. Portata pesante dal sapore robusto, non per tutti, è lo snack per eccellenza delle tavole lituane. Nel menù anche zuppe, carne (soprattutto maiale) e un’altra tipicità, i pancake di patate, chiamati bulviniai.

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Lo diceva proprio un cameriere: “a noi lituani piace mangiare le patate. La gente pensa che mangiamo solo quelle, e non è vero. Ma di sicuro ci piacciono”. E così ne si va in cerca. Se al Klaipedos Senamiestis (klaipedos-senamiestis.lt, indirizzo S. Daukanto a. 2) le riempiono di formaggio e le friggono, al Forto Dvaras – ma in realtà li cucinano tutti – si trovano i cepelinai. Si legge proprio “zepeline”, quasi come il dirigibile, e anche la forma è quella. Alcuni li chiamano col nome antico didžkukuliai, ma poco importa. Sono loro il piatto nazionale lituano, quello che esattamente come per noi con la pasta, quando questo popolo va all’estero dopo un po’ rimpiange. Una porzione sazierebbe un bufalo. Si tratta di patate grattugiate e strizzate, poi impastate in modo da formare… una patata, dalla consistenza collosa e ripiena di carne o di formaggio. Vengono servite con panna acida e pancetta. Il piatto è interessante, ma è impossibile mangiare più di due cepelinai senza rischiare seriamente di stare male. Inverni lunghi e freddi vogliono ricette robuste. Una porzione, infatti, ne contiene soltanto due. Il Forto Dvaras (indirizzo Pilies g. 16) è una catena e si trova in tutte le principali città della Lituania. Si tratta di un buon compromesso per assaggiare le ricette tipiche senza spendere un patrimonio.

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Sempre qui si trovano anche il vedarai, una salsiccia grigliata ripiena di purè di patate e interiora di maiale rinchiusi in un budello di pecora e il kugelis, una frittata (di patate…) con carne, non lontana come aspetto dal frico friulano, pur senza formaggio. Onnipresente nei menù di tutti i ristoranti, i vedarai nonostante la loro preparazione rustica colpiscono per il sapore gradevole, smorzato dalla panna acida. In un ipotetico tagliere non può mancare lo skilandis, un salame affumicato (qui l’affumicatura è una tecnica che piace) e rinchiuso nella vescica di maiale. Lo si trova come stuzzichino quasi ovunque.

Per smaltire un pranzo che non può certo definirsi leggero, bisogna tenere conto che la Lituania nelle statistiche del 2016, le ultime disponibili, era il paese in Europa in cui si beveva di più. Più che in Russia, in Polonia o in Finlandia. Non sorprende dunque che oltre alle birre e al “vino di frutta”, prodotto spesso artigianalmente dalla fermentazione di mele, ciliegie o bacche di vario tipo, ci sia una fiorente produzione di superalcolici. Non si parla tanto di vodka, qui chiamata degtinė ma che piace soprattutto ai russi o ai turisti, ma distillati al miele come il krupnikas o alle erbe come il 999, il liquore nazionale declinato in varie forme e aromi, distinguibili dal colore dell’etichetta. Quello originale (“9 radici, 9 erbe, 9 frutti”) non è granchè, potentissimo e tendente all’amaro. Ma qui piace molto, anche statistiche alla mano. Infine i più morigerati possono provare la gira, chiamata altrove anche kvass, fermentazione di segale e linfa di betulla. Il gusto ricorda vagamente quello del pane, la gradazione alcolica non arriva ai 2 gradi. Non è un caso che la chiamino “la birra del guidatore”: in Lituania il tasso alcolico consentito nel sangue è di 0,4 grammi per litro, meno che in Italia.

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Infine i dolci: pesantissimi, grossissimi (come porzioni) e serviti in pasticcerie che badano all’estetica. In una città hipster è normale che le sale da the siano arredate come vecchi appartamenti, pieni di libri e di oggetti. Al Ponių laimė (indirizzo Stiklių g. 14), proprio all’interno del vecchio ghetto ebraico distrutto dai nazisti nel 1943, si respira ancora un’atmosfera non contaminata dal turismo. I clienti sono lituani, spesso di una certa età. I dolci, oltre a squisite torte ai frutti di bosco, che qui abbondano, spesso sono quelli tipici. Chi ha fortuna al banco può trovare il šakotis, di derivazione polacca. La forma è quella di abete – la parola significa “albero con tanti rami” – e la consistenza è quella di un biscotto: strati di impasto avvolti in un cilindro e cotti allo spiedo. Chi vuole mantenersi leggero a colazione scelga gli spurgos, frittelle servite con marmellata o varške, un formaggio simile alla ricotta.

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Vilnius – altri percorsi.

Dall’antico al modernissimo. Un giro camminando quasi a caso tra la vecchia Vilnius e i suoi tetti appuntitissimi può riservare anche delle sorprese. Non si vive solo di ricette tipiche, a volte si vuole anche andare più indietro nel tempo. Medioevo, cacciagione, salse dolci alla frutta per accompagnare la carne di castoro e cinghiale. Anche i turisti si stanno accorgendo del Lokys (www.lokys.lt, indirizzo Stiklių str. 8/10) e si rischia di non trovare posto se non si prenota. Forse è indispensabile: è aperto dal 1429 – dicono – e si concentra sulla carne. Ma non si parla solo di manzo o maiale: servono il castoro, che qui sembra piacere molto (anche sottoforma di salame, non granché), il cinghiale, il capriolo, il cervo, le salsicce di selvaggina. Tra i tantissimi locali che propongono una specialità locale, gli animali selvatici, questa taverna dall’atmosfera medievale che unisce anche un’ottima scelta di birre è sicuramente il posto da considerare di più.

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E poi c’era l’Urss: fino al 1991, per un cinquantennio, qui si chiamava “Repubblica Socialista Sovietica di Lituania”. Pochi la rimpiangono, ma qualcosa di “multietnico” resiste ancora. In una delle piazze più frequentate, Sirvydo skveras, si può vedere un chiosco di nome Chačapuri (si legge “caciapuri”), che propone cucina georgiana tra cui proprio questa sorta di “pane-pizza” presentato in due modi, sia farcito sia aperto, col ripieno sopra, prevalentemente a base di formaggio locale a pasta filata. Anni fa in Georgia un sondaggio fatto tra gli abitanti, “preferite il chačapuri o la pizza napoletana” aveva dato un risultato nettissimo: l’88 per cento degli interpellati ha scelto il chačapuri. Il suo gusto ricorda vagamente una torta salata al formaggio, resa interessante dal coriandolo. Ma si può scegliere in tantissime versioni. Dopo averlo assaggiato pensateci, preferite il chačapuri o la pizza…?

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Dall’altra parte del fiume Vilnia, nella repubblica di Užupis, c’è invece l’unico ristorante lituano che ambisce seriamente alla stella Michelin. Da Sweet Root (www.sweetroot.lt, Užupio g. 22) il menu degustazione costa 65 euro – sarebbe almeno il doppio, da noi – ed è preparato da due giovanissimi cuochi che cucinano al bancone, a vista. Tutti possono vedere in qualunque momento cosa stiano facendo. Le portate sono una decina, di “cucina lituana contemporanea”. Micro-porzioni, il tema portante è il verde che accompagna tutta la cena e non sai esattamente cosa stai mangiando: c’è un elenco casuale di ingredienti fornito a ogni commensale e quest’ultimo, man mano, cancella quelli che sente o trova nel piatto. E così si va da una quaglia in due cotture a un nigirizushi “capovolto”: una fetta di cetriolo simula il pesce, un’aringa affumicata è al posto del riso. E poi lingua di agnello, patate, funghi, formaggio fritto abbinati in modo fantasioso e sorprendente. L’alta cucina del XXI secolo passa da qui, dalle città in cui (se non le si conosce) tutti pensano che “si mangi male”.

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Sweet Root |

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Trakai – quello che un turcomanno farebbe col ripieno di un raviolo cinese.

Trakai è una gemma, ancorché affollata. Un villaggio che si insinua in una penisola boscosa, circondata da un lago ghiacciato per cinque mesi l’anno con al centro un castello medievale. La classica foto “da cartolina” ad appena mezz’ora da Vilnius. Qui vive ancora una sparuta comunità di caraiti, un popolo di ceppo e lingua turca, affine ai tatari e di religione ebraica, arrivato qui nel 1397 come élite guerriera agli ordini del Granduca di Lituania. Ci sono ancora, i caraiti a Trakai, sono circa 600, con delle case strane e coloratissime, fatte di assi di legno. Andiamola ad assaggiare, la loro cucina: il Trakų Dvarelis (trakudvarelis.lt) presso il castello è il posto giusto. Qui si viene per i kibinai, sorta di panzerotti fritti ripieni di carne di vario tipo – ci andrebbe il montone, poi uno si adatta anche con manzo o pollo o maiale – e spezie. Costano un’euro e cinquanta ciascuno, un paio bastano a saziare. Si sente che dentro c’è qualcosa di diverso: il ripieno ha il sapore di Asia, come se fosse uno jaozi cinese in pastella e non cotto a vapore. Il kibinai vale il viaggio. Ma siamo vicino all’acqua, e del resto in ogni taverna che si rispetti di questa parte di mondo non possono mancare. Parlo delle aringhe, un pesce popolare quanto da noi può esserlo la sardina. Qui le chiamano silkė ed usano consumarle crude, marinate con aceto, sale e miele, accompagnate da patate e panna acida. Si mangiano a Trakai, l’antica capitale, si mangiano a Vilnius, si mangiano a Kaunas. Si mangiano sempre, costano niente e hanno un sapore neanche paragonabile a quelle nel vasetto che si trovano all’Ikea. Il problema è che già quelle dell’Ikea sono buonissime.

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Riga – Tedeschi, русские o baltici?

A Riga probabilmente si mangia un po’ peggio che in Lituania. Ma in compenso la città è, senza ombra di smentita, tra le prime dieci d’Europa come bellezza. L’eleganza del centro storico, piccolo e compattissimo (i camminatori lo girano in mezza giornata, palmo a palmo) è assoluta, gli edifici hanno uno stile liberty sobrio e maestoso che sicuramente deve risentire dell’influenza tedesca, quella della lega Anseatica, indietro nei secoli. Ma in strada si sente parlare russo, pare evidente che l’influenza economica di Mosca stia in qualche modo ritornando, prepotente. Anche la lingua lettone c’entra poco con la sua dirimpetta meridionale: molto più snella, con parole brevi, influenzate in tante cose da quella degli ingombranti vicini.

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E sembra dunque quasi logico che anziché i McDonald’s (in centro ce n’è uno solo, punto e basta) qui il fast food preferito sia a base di pelmeni, i ravioli russi. XL Pelmeni (www.xlpelmeni.lv , Kaļķu iela 7) è aperto dalle 9 alle 4 del mattino. Quando entri ci sono austere matrone che non parlano inglese, o forse non lo parlano con te, e che scorbutiche ti indicano semplicemente il dafarsi: riempire un piatto coi sei o sette tipi di ravioli – al maiale, al pollo, all’agnello, al manzo, misti, vegetariani, fritti col formaggio – e portarlo alla cassa, dove si pagano a peso. Con una modesta aggiunta di spiccioli ecco le salse misteriose alle verdure, al cren o la onnipresente smetana, la panna acida. La pasta dei ravioli è collosa e spessa, più bianca per via dell’aggiunta di un po’ di latte. Anche qui si è molto più vicini ai ravioli dei ristoranti cinesi come sapore e consistenza rispetto che ai cappelletti o agli agnolotti. Qui è oriente.

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Ma Riga è anche a dieci chilometri dal mar Baltico. Acque fredde. Ma è meglio così, perché i pesci sono inconsueti. Dentro il mercato centrale coperto, gigantesco, il più grande d’Europa (cinque padiglioni, credo fosse un ex hangar militare) con un po’ di fatica si trova Siļķītes un Dillītes – non c’è un sito internet, non ho ancora capito bene come si pronunci – un bancone, qualche tavolo, l’inglese bene ma non benissimo. Però con 15 euro ti spazzoli un tagliere con pesci inusuali, cotti e crudi, e alcune tartine. Oltre al salmone, che non c’entra niente con quello pallido delle buste del supermercato o con quello insapore dei sushi bar gestiti da cinesi, e all’onnipresente aringa, anche un piccolo squalo affumicato, un pesce persico pescato sul delta del fiume Daugava, che poco dopo sfocerà nel Baltico, e trattato a mo’ di baccalà. Sulle tartine, invece, salmone e aringa accompagnati da barbabietole, rape e salsine vagamente acide. Non c’è dubbio che Poseidone, il venerabile dio del mare, mi abbia prescelto in qualche modo come suo assaggiatore. La qualità è assoluta. Qui servono anche il fish & chips, ma per quello si va a Londra. In un banco a poca distanza, che vende anche pesce fresco da cucinare a casa, oltre alle tartine con sei o sette tipi di aringhe diverse (crude, marinate…) si possono anche comprare delle fette di pane nero a 10 centesimi di euro l’una. Perché? Perché a 20 metri una signora vende uova di salmone freschissime, da spalmarci sopra. Attenzione: queste sono croccanti, coriacee. Sanno di mare. Non si sciolgono in bocca come quelle che si trovano da noi. È questo l’happy hour, non le focacce riscaldate tre volte di qualche aperitivo chic italiano. Per digerire c’è il Balsamo di Riga, il liquore nazionale, un infuso di erbe e vodka (sempre sti russi…) servito in varie versioni. Quella originale è mefitica, penso faccia 200 gradi. Quelle aromatizzate, soprattutto alla ciliegia, vanno bene anche se per turisti. Dicono che siano usate anche come cura per il raffreddore…

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Ma fuori dal mercato le bancarelle sono di altro tenore: moltissimi fiori, tanta frutta che da noi si compra a novembre e qui ad agosto (le mele) e qualcun altro che fa sul serio. Un chiosco dice “Uzbekistan”. Si, lo stato centro asiastico con Samarcanda, Bukhara, la via della Seta, Marco Polo, le odalische, quelle cose lì. È a quattromila chilometri da Riga, ma a Riga c’è un chiosco. Cosa mangiano? Ciò che mangerebbero i discendenti di pastori bellicosi di ceppo turco. Carne, riso, qualcosa vagamente influenzato dalla cucina persiana e da quella mongola. Noi abbiamo scelto i chebureki, pasta non lievitata fritta, ripiena di varie cose, in questo caso carne di agnello. Non lontanissima dai kibinai di Trakai. Non a caso un loro lontano parente è il börek, pasta sfoglia fritta e ripiena di formaggio che da Istanbul sconfina quasi fino in Slovenia e che in Bulgaria è piatto nazionale. Ma questa è un’altra storia. La gente emigra e si sposta, ce ne si faccia una ragione. Sono buoni i chebureki? Ma sì.

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Infine c’è la Riga tradizionale, quella delle taverne, delle birrerie, di quando era pericoloso anche andare a farsi un drink e quindi bisognava farlo clandestinamente, nei seminterrati, in locali chiamati come copertura “Circolo del golf” o altre amenità. Ce ne sono due, in particolare. Nel primo, appunto il Folkklubs Ala Pagrabs (www.folkklubs.lv, Peldu iela 19) si va per bere delle ottime birre artigianali accompagnate proprio dagli stuzzichini: salame e salumi affumicati, formaggio locale, poco saporito ma aiutato dalle erbe, l’onnipresente pane nero fritto che già avevamo visto a Vilnius. E poi quello che si mangia qui. Maiale, salmone, piselli. Ingredienti cotti e mischiati con salse, più che una cucina vera e propria con ricette codificate. Potete anche fermarvi all’aperitivo, perché l’atmosfera è conviviale in modo assoluto. C’è anche uno scaffale pieno di volumi, chiamato in modo beffardo “biblioteca nazionale lettone”. Ai tempi della dittatura era proibito possedere testi in lingua lettone, qui ai tiranni fanno una pernacchia e gliela faranno ancora. Infine c’è ancora il Medioevo: il Rozengrāls (rozengrals.lv , Rozena iela, prenotate o non ce n’è) propone solo ricette di 700 anni fa. Quando si mangiava la zuppa di cervo, con un brodo di carne saporito, carote, cipolle e bocconcini di carne, lo stinco di agnello accompagnato da un’insalata di grano di contorno, il petto d’anatra. Nessun compromesso, se non fosse per i camerieri in costume tipico, frettolosi, per attirare i turisti. Ed infatti i turisti vanno. Ma il cibo è all’altezza. E soprattutto, rarità, servono il calvados, un pungente distillato di mela che già i Normanni nel bellissimo “I fiori blu”, romanzo di Raymond Queneau, bevevano in continuazione. Ma forse è meglio lasciarlo a loro. Noi indugiamo, ancora una volta, tra le vie magiche di Riga, tra i suoi tanti pinnacoli, tra l’eleganza sconfinata.

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Autore Davide Maniaci

Laureato in Storia, giornalista pubblicista per due settimanali locali. I miei interessi spaziano dalla cucina ai viaggi, dalla storia dell'arte alla musica rock. Tutto questo riassunto in un obiettivo: la divulgazione. Amo l'idea che chiunque possa sapere tutto e nel mio piccolo provo a realizzarla. Curo una rubrica di cultura gastronomica su ilovefoods.it dal 2015.

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